Note di accredito IVA, regole per la corretta gestione e situazioni particolari

Rif.: art. 26 DPR n. 633/72

Sintesi: L’articolo 26 del Dpr 633/1972 disciplina le ipotesi di variazioni dell’imponibile e/o dell’Iva su una fattura emessa. È necessario porre particolare attenzione al caso delle variazioni in diminuzione in quanto la nota di accredito consente al soggetto che ha emesso la fattura di detrarre l’Iva ed quindi è soggetta a particolari tutele. Tale nota è ammessa solo negli specifici casi previsti dai commi 2 e 3 dell’articolo citato e va emessa entro il termine massimo di un anno se conseguente ad un sopravvenuto accordo fra le parti.

La nota di variazione in diminuzione può essere emessa dal cedente oltre il limite temporale di un anno (art. 26, co. 3, del Dpr n. 633/1972), se il corrispettivo non è stato pagato e il cessionario non ha optato per l’anticipo dell’esigibilità dell’imposta al momento della ricezione della fattura. Quindi nel caso specifico del regime IVA split payment, essendo l’esigibilità dell’Iva collegata al pagamento del corrispettivo (cfr. agenzia delle Entrate risposta 25 ottobre 2024, n. 210/E), alla nota di variazione non si applica il limite annuale (solo se la fattura non sia stata pagata).

Nota di accredito IVA (o nota di variazione in diminuzione) – caratteristiche generali

Ai sensi dell’art. 26, co. 2, del DPR n. 633/1972, è consentito emettere una nota di variazione in diminuzione quando un’operazione, successivamente alla registrazione ex art. 23 e 24 dello stesso decreto, viene meno in tutto o in parte oppure se ne riduce l’ammontare imponibile a seguito di:

1) dichiarazione di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili;

2) applicazione di abbuoni o sconti previsti contrattualmente;

3) rettifica di errori di fatturazione;

4) sopravvenuto accordo tra le parti;

5) mancato pagamento, in tutto o in parte, in esito a procedure esecutive individuali rimaste infruttuose oppure a procedure concorsuali.

Ai sensi dell’art. 19 del Dpr n. 633/1972, in tale ipotesi, il cedente/prestatore vanta il diritto di portare in detrazione l’imposta corrispondente alla variazione registrandola a norma dell’art. 25 del Dpr n. 633/1972.

Tuttavia, è previsto un limite di tempo per l’emissione della nota di variazione in diminuzione che si identifica con il termine di un anno dall’effettuazione dell’operazione imponibile originaria qualora gli eventi indicati si verifichino in conseguenza di accordo sopravvenuto tra le parti oppure in caso di rettifica di inesattezze emerse in sede di fatturazione (art. 26, comma 3, del Dpr 633/1972) come ha ribadito tra l’altro la risposta 20 settembre 2019, n. 387/E.

Possibilità di rilascio della nota di variazione oltre il termine annuale nel caso di operazione in split-payment

Un caso particolare è rappresentato dalla nota di variazione emessa verso la Pubblica Amministrazione, che applica il regime IVA dello split-payment.

Per l’agenzia delle Entrate vale il principio secondo cui è legittimo rilasciare una nota di variazione in diminuzione qualora la fattura, emessa in regime split-payment, sia rimasta insoluta, oltre il termine annuale previsto dall’art. 26, co. 3, del Dpr n. 633/1972 (cfr. risposta 25 ottobre 2024, n. 210/E).

In caso di operazioni soggette alla scissione dei pagamenti, numerosi documenti di prassi ministeriale hanno chiarito e ribadito il principio secondo cui l’esigibilità differita dell’Iva collegata al pagamento della fattura prevede che, nel caso di mancato pagamento del corrispettivo, anche parziale, l’imposta non diviene esigibile anche se l’operazione è stata fatturata.

Ne deriva che, in tale fattispecie, l’Iva non è esigibile nonostante l’avvenuta fatturazione, dal momento che è assente di fatto l’incasso del corrispettivo.

Infatti, in tale evenienza, l’esigibilità dell’Iva è strettamente ancorata al pagamento del corrispettivo, a meno che non si verifichi una spontanea anticipazione da parte del cessionario/committente e quindi, se il pagamento del corrispettivo non si perfeziona per risoluzione del contratto o per sopravvenuto accordo o per annullamento della fattura emessa per errore o ancora per riduzione del corrispettivo, l’imposta non diventa esigibile anche se l’operazione è stata regolarmente fatturata.

Irrilevanza del principio di cartolarità:Dal momento che l’esigibilità dell’Iva è ancorata al momento del pagamento, non vale il principio di cartolarità dell’Iva secondo il quale, se il fornitore indica in fattura i corrispettivi delle operazioni o le imposte relative in misura superiore a quella reale, l’imposta è dovuta per l’intero ammontare indicato o corrispondente alle indicazioni della fattura (articolo 21, comma 7, del Dpr n. 633/1972).

In sostanza, in caso di scissione dei pagamenti, sempre che l’esigibilità dell’Iva non sia anticipata spontaneamente da parte del cessionario/committente, in caso di fattura insoluta in modo parziale o totale, l’imposta non diventa esigibile anche se l’operazione è stata fatturata.

Adempimenti contabili e fiscali in capo al cedente e al cessionario: l’Agenzia delle entrate precisa che la variazione operata dal cedente/prestatore assolve una mera funzione contabile ed è sufficiente per effettuare nei registri Iva le opportune rettifiche, previa emissione della nota di variazione, anche se è stato superato l’anno dalla data di emissione della fattura originaria (sempre che la fattura non sia già stata pagata).

Dal punto di vista operativo, secondo la circolare agenzia delle Entrate 13 aprile 2015, n. 15/E, se la nota di variazione in diminuzione si riferisce ad una fattura originaria emessa in sede di scissione dei pagamenti, è necessario che il cedente numeri la nota di variazione, riporti l’ammontare della variazione e della corrispondente imposta ed evidenzi un riferimento espresso alla fattura.

In aggiunta, al cedente non compete il diritto di portare in detrazione l’Iva ex art. 19 del Dpr n. 633/1972, trattandosi di un’imposta che non è mai confluita nella propria liquidazione periodica.

Viceversa, il cedente/prestatore procede ad effettuareun’apposita annotazione in rettifica nel registro cui all’art. 23 dello stesso decreto senza che si riverberi alcun effetto nella relativa liquidazione Iva.

Dal canto suo, il cessionario/committente, che non ha optato per l’anticipazione dell’esigibilità dell’imposta, storna contabilmente l’operazione di cessione di beni o prestazione di servizi senza alcun effetto sostanziale sulla liquidazione periodica Iva né sui versamenti da eseguire nell’ambito dell’attività istituzionale.

Risposta 210/E/2024 – Nota di variazione in diminuzione: obblighi fiscali e contabili a carico del cedente e del cessionario
    Cedente/prestatoreIl cedente deve: numerare la nota di variazione;riportare l’ammontare della variazione e della corrispondente imposta;fare in fattura espresso riferimento normativo allo split payment;effettuare un’apposita annotazione in rettifica nel registro cui all’articolo 23 del decreto Iva, senza alcun effetto sulla relativa liquidazione Iva Il cedente non ha il diritto di portare in detrazione l’Iva, trattandosi di un’imposta che non è mai affluita nella propria liquidazione periodica.
Cessionario/committenteSe non ha optato per l’anticipazione dell’esigibilità dell’imposta, storna contabilmente l’operazione, senza alcun effetto sulla liquidazione periodica Iva e sui versamenti da effettuare nell’ambito dell’attività istituzionale
Il regime IVA della “scissione dei pagamenti” o “split-payment”L’art.17-ter del Dpr n. 633/1972 stabilisce le regole IVA per le operazioni effettuate nei confronti delle pubbliche Amministrazioni alle quali si applica il regime dello split payment ovvero della scissione dei pagamenti.Lo split payment è un regime particolare che stabilisce che a versare l’Iva, addebitata nella relativa fattura, sia il cessionario/committente, pur non assumendo la qualifica di debitore d’imposta, anziché, come avviene di consueto, il cedente/prestatore.In sostanza, attraverso lo split payment determinati cessionari/committenti non devono corrispondere l’Iva ai propri cedenti/prestatori ma liquidarla direttamente all’Erario.Le disposizioni sullo split payment sono valide fino alla scadenza della misura speciale di deroga rilasciata dal Consiglio dell’Unione europea. Con la decisione (Ue) del 24 luglio 2020, n. 2020/110516, infine, l’Italia è stata autorizzata a continuare ad applicare il meccanismo dello split payment sino al 30 giugno 2026 a seguito della decisione di esecuzione (Ue) 2023/1552, pubblicata il 27 luglio 2023 nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione europea. Soggetti obbligati: Le disposizioni sullo split payment si applicano sia alle operazioni economiche effettuate nei confronti della pubblica Amministrazione per le quali torna l’obbligo di emissione della fattura elettronica sia nei confronti di: – enti pubblici economici nazionali, regionali e locali; – fondazioni partecipate da Amministrazioni pubbliche; – società controllate dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri e dai ministeri; – società quotate nell’indice FTSE MIB della Borsa italiana. Si rileva che i cedenti/prestatori possono richiedere ai cessionari/committenti un documento che attesti la loro riconducibilità ai soggetti tenuti ad applicare la scissione dei pagamenti.
Soggetti esclusi: Le disposizioni sulla scissione dei pagamenti non si applicano, in particolare, agli enti pubblici gestori di demanio collettivo per operazioni relative ai diritti collettivi di uso civico e ai compensi per prestazioni di servizi assoggettati a ritenute alla fonte. Il Dl 12 luglio 2018, n. 87, convertito con modifiche dalla L. 9 agosto 2018, n. 96, ha stabilito che lo split payment non torna applicabile alle prestazioni di servizi effettuate dai professionisti soggetti a ritenute a titolo d’imposta o di acconto ai sensi dell’articolo 25 del Dpr n. 600/1973.
Operazioni escluse: Sono estranee all’applicazione della scissione dei pagamenti: – le operazioni rese da lavoratori autonomi in regime forfetario, in quanto gli stessi non applicano l’Iva sulle proprie fatture; – le operazioni rese da soggetti che applicano la ritenuta d’acconto (es. professionisti); – le operazioni rese da soggetti che applicano regimi speciali IVA (es. società sportive che aderiscono alla legge n. 398/1991); – le operazioni soggette al cd. reverse charge, in quanto è quest’ultimo regime a prevalere; – le operazioni che non prevedono obbligatoriamente l’emissione della fattura, inclusi i corrispettivi annotabili nell’omonimo registro; – le operazioni esenti, non imponibili e, in generale, tutti gli altri casi nei quali non vi è alcuna Iva esposta in fattura.
Possibilità di scelta tra esigibilità anticipata o differita dell’Iva: L’Iva relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi ai sensi dell’articolo 1, comma 2, e dell’articolo 3, commi 1 e 2, del Dm 23 gennaio 2015 è esigibile al momento del pagamento dei corrispettivi (cd. esigibilità differita). Le pubbliche Amministrazioni, le fondazioni, gli enti e le società possono comunque optare per l’esigibilità dell’imposta anticipata al momento della ricezione della fattura ovvero al momento della registrazione della medesima anziché all’atto del pagamento.
Modalità di emissione della fattura con applicazione dello split payment: Per le cessioni di beni e le prestazioni di servizi soggette a split payment, i cedenti/prestatori sono tenuti ad emettere la fattura con l’annotazione di «scissione dei pagamenti» ovvero di «split payment» ai sensi dell’articolo 17-ter del Dpr n. 633/1972.
Liquidazione Iva in ambito split payment: Da un lato, le pubbliche Amministrazioni, che effettuano acquisti soggetti a split payment in ambito istituzionale, versano l’Iva mediante il modello F24 Enti pubblici. Dall’altro, le pubbliche Amministrazioni, che agiscono in ambito commerciale, e le società, con riferimento all’Iva afferente agli acquisti in ambito split payment, hanno la possibilità di scegliere tra due procedure alternative: – versamento dell’Iva mediante presentazione del modello F24 entro il giorno 16 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, senza possibilità di compensazioni; – annotazione delle fatture nel registro delle fatture emesse/dei corrispettivi (articoli 23 e 24 del Dpr n. 633/1972), entro il giorno 15 del mese successivo a quello in cui l’imposta è divenuta esigibile, con riferimento al mese precedente, imputazione dell’Iva dovuta alla liquidazione periodica del mese dell’esigibilità e registrazione delle fatture nel registro degli acquisti (articolo 25 del Dpr n. 633/1972), al fine di esercitare il diritto alla detrazione dell’imposta. L’Iva è versata dalle pubbliche Amministrazioni e dagli altri enti soggetti al regime con effetto dalla data in cui l’imposta diventa esigibile.
Regime sanzionatorio: I profili sanzionatori legati al regime di split payment cambiano a seconda che la violazione sia commessa dal: Cessionario: in caso di omesso o tardivo versamento dell’Iva da parte dell’acquirente (PA), si applicano le ordinarie norme in materia ex articolo 13 del Dlgs n. 471/1997, salve le riduzioni derivanti dalla fruizione del ravvedimento operoso; Cedente: in caso di mancata indicazione in fattura del regime di split payment ove necessario, il fornitore può procedere negli ordinari termini all’emissione di apposita nota di variazione Iva ex articolo 26, comma 3, del Dpr n. 633/1972 e all’integrale riemissione della fattura corretta. Tuttavia, qualora questi non voglia o non possa più intervenire in tal senso, si rende applicabile una sanzione amministrativa variabile tra 1.000 e 8.000 euro (articolo 9, comma 1, del Dlgs n. 471/1997).

Note di accredito – casi particolari

Nota di accredito in caso di nullità, annullamento, revoca, risoluzione, rescissione e simili

L’art. 26 co. 2 legittima la variazione in diminuzione, anche se l’operazione sia venuta meno in tutto o in parte per una dichiarazione di risoluzione contrattuale (anche per clausola risolutiva espressa) e anche senza un formale atto di accertamento giudiziale (Interpello 386/2022).

Rispetto a queste vicende contrattuali che legittimano la nota di accredito (co. 2 dell’art. 26) la giurisprudenza di legittimità ha chiarito che non è «necessario un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell’anzidetta causa di risoluzione» (Cass. 17 giugno 1996, n. 5568, Cass. 8 novembre 2002, n. 15696). Non è quindi rilevante la circostanza che la risoluzione del contratto per inadempimento sia una risoluzione di diritto, laddove lo scioglimento dello stesso si realizza al verificarsi di determinati eventi specificatamente previsti dalla legge. Più nello specifico, con il principio di diritto n. 11, pubblicato il 6 agosto 2021 l’agenzia delle Entrate ha precisato che «Il verificarsi della condizione contemplata da una clausola risolutiva espressa apposta al contratto, quale il mancato pagamento (articolo 1456 c.c.) o l’inutile decorso del congruo termine intimato per iscritto alla parte inadempiente (articolo 1454 c.c.), può costituire il presupposto legittimante l’emissione di una nota di variazione di cui al predetto secondo comma dell’articolo 26».

Nota di accredito in caso di risoluzione per inadempimento

L’agenzia delle Entrate (Interpello 386/2022) ha ammesso la nota di accredito anche in caso di risoluzione per inadempimento (giudiziale o di diritto). In pratica quindi il recupero dell’Iva per risoluzione contrattuale ex art. 26, co. 2 è alternativo al più oneroso percorso dell’avvio della procedura esecutiva individuale, al cui termine è possibile emettere la nota di variazione:

  • Nota di accredito per risoluzione per inadempimento: è una facoltà che viene esercitata dal soggetto passivo che non intende procedere in via esecutiva per il recupero del credito;
  • nota di accredito al termine della procedura esecutiva individuale: si rinuncia al diritto di invocare la risoluzione contrattuale quale presupposto per la nota di credito e si dovrà attendere, l’infruttuosità della procedura esecutiva individuale avviata.

Risoluzione in caso di contratti a esecuzione continuata o periodica

In caso di contratto a prestazioni periodiche, il mancato pagamento del corrispettivo integra la condizione prevista dalla clausola risolutiva espressa con la risoluzione del contratto con effetti ex tunc e l’emissione della nota di variazione a decorrere dalla prima fattura rimasta insoluta.

In caso di risoluzione contrattuale di contratti a esecuzione continuata o periodica, conseguente a inadempimento, la facoltà di emettere la nota di variazione di cui all’art. 26 co. 2 non si estende a quelle cessioni e a quelle prestazioni per cui sia il cedente o prestatore che il cessionario o committente abbiano correttamente adempiuto alle proprie obbligazioni. L’Agenzia ha chiarito che è riconosciuta la facoltà di emettere una nota di credito esclusivamente con riferimento a quelle operazioni – già eseguite e fatturate per le quali la controparte sia risultata inadempiente/insolvente (Interpello 386/2022). Solo in questo caso la risoluzione colpisce le forniture per le quali si sia verificato l’inadempimento, senza effetto su quelle per cui il cliente ha regolarmente pagato il prezzo.

Note di accredito in caso di accordi transattivi

Il tema delle note di accredito in caso di accordi transattivi che fanno venir meno in tutto o in parte l’operazione originario è oggetto di diversi approfondimenti anche per quanto attiene l’applicabilità o meno del termine annuale previsto dal co. 2 dell’art. 26.

Un intervento estremamente utile è costituito dalla Norma di comportamento A.I.D.C. n. 222/2023, in base a cui il termine di un anno (art. 26, co. 3, DPR 633/1972) è limitato ai soli casi di effettivo sopravvenuto accordo e quindi con variazione dei termini contrattuali in assenza di qualsiasi contestazione in merito all’esecuzione del contratto.

Se invece, interviene un accordo transattivo a fronte di una comprovata controversia, anche solo potenziale, inerente il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali da parte del cedente/prestatori, i principi di effettività, neutralità e proporzionalità dell’Iva consentono la rettifica dell’operazione anche oltre il termine annuale.

L’art. 26, co. 2, DPR 633/1972 individua una serie di eventi che costituiscono il dies a quo a partire dal quale è possibile operare la rettifica in diminuzione della base imponibile e dell’imposta. Tale rettifica può essere effettuata entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa all’anno in cui si è verificato uno degli eventi sopra richiamati che, a loro volta, possono essere raggruppati nelle due seguenti categorie:

a) patologie contrattuali (nullità, annullamento, revoca, risoluzione e rescissione) che determinano l’estinzione o la modifica dell’originaria pattuizione;

b) figure simili alle patologie contrattuali, fra le quali rientra anche la definizione in via stragiudiziale di una lite che costituisce una forma di sopravvenuto accordo fra le parti, che estingua o modifichi il rapporto.

La lettura combinata dei commi 2 e 3, evidenzia che gli accordi sopravvenuti siano figure vicine alle patologie contrattuali che possono essere distinte in due sottocategorie, a seconda che gli accordi siano o meno assoggettati al limite dell’anno.

La Norma Aidc 222/2023 ricorda che l’orientamento consolidato della Corte di Giustizia è nel senso di ritenere che tale norma obblighi gli Stati membri a ridurre la base imponibile ogni volta che, conclusa l’operazione, il soggetto passivo non percepisca il corrispettivo (anche solo in parte), quale espressione del principio secondo il quale la base imponibile è costituita dal corrispettivo realmente ricevuto.

Secondo quindi la norma di comportamento

a) il limite annuale del comma 3 si applica unicamente agli accordi sopravvenuti nell’ambito di relazioni commerciali dipendenti da un mero mutamento consensuale della volontà dei contraenti;

b) diversamente, è possibile procedere alla rettifica della base imponibile, anche oltre il termine annuale, nell’ipotesi di intervenuti accordi sopravvenuti – diversi da quelli previsti dal comma 3 – riguardanti il corretto adempimento delle obbligazioni contrattuali assunte dal cedente del bene o dal prestatore del servizio.

In sintonia con quanto sopra, la Cassazione (Cfr., Cass. 26 settembre 2018, n. 22940; Cass. 16 luglio 2019, n. 18961. Cass. 6 luglio 2001, n. 9188), con l’intento di contrastare le condotte elusive:

a) tende da un lato ad applicare il termine di un anno alle note di variazione volontarie (comma 3), cioè, che non dipendono da eventi estintivi del contratto originario, bensì da un «semplice accordo» di «mutuo dissenso» fra le parti contraenti;

b) a disapplicare il medesimo limite temporale al verificarsi delle fattispecie di cui al comma 2 – fra le quali rientrano anche gli accordi sopravvenuti diversi da quelli del comma 3 – in quanto «circondate» da «particolari garanzie» circa l’effettiva esistenza delle cause determinanti l’estinzione o la modifica del contratto.

Nota di accredito solo in caso di rettifiche degli elementi essenziali della fattura

La nota di accredito spesso è anche richiesta dallo stesso cliente in situazione di normale svolgimento dei rapporti contrattuali per rispondere a proprie esigenze di natura non fiscale (ad es. ottenere determinate descrizioni in fattura per contributi o incentivi).

Sul tema è intervenuta in maniera estremamente utile la risposta ad interpello 581/2022 in tema di emissione di nota di accredito nel contesto di superbonus 110%. Il caso è quello di una fattura erroneamente emessa con indicazione dello sconto in fattura in assenza dei presupposti richiesti, rispetto ai quali si chiede di emettere nota di accredito rilevante Iva. L’agenzia delle entrate riprendendo precedente risposta ad interpello 385/2022 risponde che non ricorre nel caso sottoposto alcun presupposto fra quelli previsti dall’art. 26, DPR 633/1972 per emettere nota di accredito. Ciò in quanto la fattura pur recando erronea indicazione dello sconto riporta correttamente imponibile ed Iva, calcolata sull’intero corrispettivo al lordo dello sconto e quindi è fiscalmente corretta. Unica possibilità è l’integrazione della fattura con separato documento senza valenza fiscale.

Note di accredito e procedure concorsuali

Altro caso diffuso di nota di accredito, con regole peraltro particolari e oggetto di numerose revisioni normative nel tempo è quello delle procedure concorsuali.

In merito nel corso del 2021 è intervenuta un’importante novità circa le tempistiche di emissione delle note di credito per procedure concorsuali (art. 18, co. 1, DL 25 maggio 2021, n. 73 ha introdotto il nuovo co. 3-bis nell’art. 26, Dpr 633/1972). Il nuovo testo dell’art. 26, co. 3-bis del Dpr 633/1972 ha previsto la possibilità di emettere le note di variazione Iva in diminuzione a decorrere dalla data di assoggettamento, del cessionario o committente, a una procedura concorsuale, senza quindi attendere la conclusione della procedura esecutiva e l’infruttuosità della stessa. Tale novità è applicabile alle procedure apertesi dopo il 26 maggio 2021, per le precedenti è necessario attendere la chiusura della procedura.

La nuova norma inoltre non prevede alcuna indicazione circa la necessità dell’insinuazione alla procedura, limitandosi a definire il momento a partire dal quale la nota di variazione può essere emessa.

Concordato e fallimento che segue concordato

Il tema delle note di accredito riguarda anche il concordato, con spesso maggiori difficoltà rispetto al fallimento. La risposta ad interpello 126/2024 ha affrontato il caso di una società con credito verso controparte in concordato preventivo, avviato nel 2017 e poi sfociato in fallimento successivamente al 26 maggio 2021.

L’agenzia delle Entrate ha chiarito che per giurisprudenza costante, la consecuzione delle procedure si sostanzia nella considerazione unitaria della procedura di concordato preventivo, cui è succeduta quella di fallimento. Di conseguenza devono applicarsi anche alla fase di fallimento le disposizioni dell’art. 26 ante riforma. La variazione in diminuzione dell’imposta dovrà, anche in questo caso, attendere la chiusura infruttuosa della procedura.

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